bossoNe ho organizzati ben 11, grandi nomi del jazz dagli Appennini alle Ande, è il caso di dirlo, ma il festival di quest’anno ha un sapore diverso. Ha il sapore della vittoria, il sapore dei record. Ho sentito come mai prima d’ora il calore della gente, quasi come se fossi io l’artista ad essersi esibito sul palco. Una sensazione strana. Ogni sera, gruppi di persone mi hanno stretto la mano complimentandosi per le scelte, fatte di elegante semplicità in alcuni casi e di “arrogante” coraggio in altri. Penso di essere riuscito per la prima volta a mettere in campo le poche qualità che mi ritrovo: umiltà, coraggio, spregiudicatezza e capa-tosta. Tipico di un gemelli.
Ma ci tengo a dire a tutta la gente che mi ha stretto la mano che io non sono solo. Ho la fortuna di godere dell’amicizia prima e della collaborazione poi, di un gruppo di fantastici ed affiatati uomini e donne che da 11 anni hanno la mia stessa umiltà, il mio stesso coraggio, la mia stessa spregiudicatezza e forse una capa-tosta più tosta della mia. Non è facile stare dietro a uno come me, lo riconosco. Spesso do d’aceto pure io. E loro sopportano, per amicizia.
Torniamo al festival. Ogni sera meriterebbe un capitolo a se stante, ma tutto questo tempo non ce l’ho. Bastano quelle poche giuste parole che riassumono il pensiero, la critica e gli apprezzamenti di questa splendida edizione.
E’ iniziato il 22 giugno scorso e come ho già scritto, è stata una serata fantastica con le due regine del microfono Jazz pugliese (e non solo), Paola Arnesano e Gianna Montecalvo, accompagnate da autentiche eccellenze del Jazz Italico, in ordine di apparizione Vincenzo Abbracciante, Carlo Morena, Roberto Ottaviano, Yuri Goloubev e Michele Salgarello, senza dimenticare i passi di Michele Lobefaro e Emanuela Belagiano. Grande successo di pubblico con oltre 500 presenze. I numeri contano.
Dal 10 luglio e fino al 13, il festival si è spostato nella sua nuova location. I Giardini Comunali, per i capursesi la “Villa”. E partiamo proprio dalla location. Non ci credeva nessuno, tutti temevano l’invasione del grande prato verde, era piccolo per alcuni, era grande per altri, non aveva fascino rispetto al sagrato (vecchia location del festival), è freddo, farà caldo. Insomma, tutti o quasi, contro. Ma i dubbi e le incertezze si sono subito trasformati nel primo positivo sintomo di un festival che non sarà facile dimenticare. Lo scenario alle spalle del palco era bello assai. La Basilica della Madonna del Pozzo per 4 giorni ha dominato la scena, e in più avevamo il grande prato verde a rinfrescare le nostre serate.
La musica: grande qualità dalla prima all’ultima serata, dai finalisti del Contest Alessandro Campobasso e Antonino Siringo, con la super giuria presieduta dall’onnipotente Filippo Bianchi con, oltre a me, Alceste Ayroldi (coordinatore artistico del Contest), Gianna Montecalvo, Fabrizio Versienti, Marco Losavio, Giuseppe Venezia, Attilio Troiano, Emanuele Dimundo, Antonio Delvecchio, ai super ospiti. Io dubbi non ne avevo. Rapporto qualità prezzo colpito in pieno. Il festival ci è costato circa il 20% in meno rispetto alle altre edizioni. Il disegno artistico era perfetto e si è trasformato in brillante realtà. Ne è la riprova il record di abbonamenti venduti, circa 500.
Sul palco il Jazz di Campobasso/Maggi/Pannarale/Savino e Siringo/Pedol/Scarpato, si è perfettamente miscelato con il Tango di Balducci/Iorio/Stefano/Villani; il clarinetto sognante di Mirabassi con il romanticismo delle note e delle parole del quartetto Basso/Ottolino/Sebastiani/Berlen; l’esperienza di Matino e la brillante vocalità di Barba con la maestria di Bosso/Girotto/Calloni; per chiudere, il jazz ha incontrato sullo stesso palco il rock, il sud America, l’avanguardia Newyorkese, i suoni Davisiani e l’energia pura di Paci/Vadrucci/Pagnozzi/Capelli/Lui/Motta.
Multiculturita festival d’avanguardia, festival ai confini del Jazz, è piaciuto, ed è piaciuto alla grande. Soprattutto è piaciuto a me!

All’anno prossimo…